Saturday, April 25, 2020

classi Terza D e Terza E


Nello Quartieri (detto “Italiano”) – militare. Partigiano Brigata Picelli, La Spezia. “La mia vicenda umana sta per terminare. (…). L’importante è stato vivere per qualcosa, non come un’anima spenta.”

Kartik e Martina (3D) hanno scelto la testimonianza del partigiano Nello Quartieri, perché: “Con queste poche parole riesce a trasmetterci il significato della sua scelta e l’orgoglio di non aver sprecato la sua vita.”

Emma (3E). Dopo aver letto i brani proposti, mi ha colpito di più quello di Nello Quartieri, comandante italiano del battaglione Guido Picelli che ha combattuto nella Resistenza per la liberazione dell’Italia. Queste poche righe mi hanno fatto riflettere sull’importanza di vivere per qualcosa e non fuggire davanti alle difficoltà e ai problemi. I partigiani, pur sapendo che, molto probabilmente, sarebbero morti hanno combattuto in modo eroico e valoroso per la Nazione e per la Libertà. Credo che la vita vada vissuta non nascondendosi, proprio come dice Quartieri, “non come un’anima spenta”, ma combattendo fino all’ultimo per i propri ideali non facendosi schiacciare dalle idee che non condividiamo. Queste persone sono veri e propri eroi che hanno combattuto per offrire a tutti noi la pace, in un Paese dove ora ognuno può esprimersi liberamente senza essere oppresso. Il 25 Aprile è una data simbolica, ma che ci fa ricordare un giorno molto importante, quando l’Italia ha riavuto il valore forse più importante di tutti: la Libertà.

Clarissa (3E). “In occasione della giornata della Liberazione ho scelto di analizzare una frase scritta da Nello Quartieri (detto “Italiano”), un militare che divenne Partigiano nella Brigata Picelli, La Spezia. Con la sua frase, secondo me, vuole  dire che lui stesso è a conoscenza che la vita del partigiano non è per niente facile e che potrebbe essere scoperto e ucciso da un momento all’altro. Difatti i partigiani rischiavano ogni giorno la vita: mi metto nei panni di un padre o di un figlio che ha in più anche il timore che qualcuno possa fare del male alla propria famiglia. Il partigiano però esprime anche la consapevolezza del valore delle sue azioni: infatti scrive che la cosa più importante è vivere secondo degli ideali, una filosofia che dia senso alla nostra esistenza.

Emo Ghirelli (detto: “Pino”) – contadino. Partigiano Brigata Garibaldi, Alto Appennino reggiano. “Con noi collaborava il popolo migliore. (…). E’ stata dura, abbiamo dovuto combattere contro un nemico che la guerra la faceva di mestiere (…). Spero che tu, Gabriele (è il pronipote che ha 4 anni), non abbia più bisogno di fare i sacrifici che abbiamo dovuto sopportare noi. Che tu possa vivere sempre in pace, mai più guerre. Questo messaggio vorrei che potesse giungere nelle mani dei nipoti e pronipoti di questo mondo, perché capiscano che impegnandosi a costruire la pace si possono evitare tutte e guerre.”

Alessia (3D): 25 Aprile, data molto importante, perché si ricorda la liberazione dell’Italia dal dominio dei nazifascisti. Noi possiamo festeggiare questa data grazie a tutte quelle persone che hanno sacrificato la loro vita, durante la guerra, per la patria e per offrire a tutti noi un avvenire migliore. Tra tutte le testimonianze, mi ha colpito quella del signor Emo Ghirelli, che vedo come “nonno Pino”. Lui si preoccupa del futuro del nipote; il nonno non vorrebbe mai che il nipote Gabriele vivesse come lui, con la guerra e la paura di morire. Desidera che il suo messaggio arrivi al nipote per fargli capire che non servono le guerre, ma si deve costruire la pace per vivere bene. 

Beatrice (3D) si rifà alla testimonianza di Emo Ghirelli: “Quando Pino dice che "è stata dura …” vuole spiegare che lui e i compagni partigiani hanno lottato contro i fascisti e i nazisti, senza aver fatto un addestramento, senza aver avuto un equipaggiamento adeguato o delle munizioni sufficienti. Emo, infatti, era un contadino che ha dovuto abbandonare gli attrezzi del suo lavoro per imbracciare un fucile. La sua testimonianza è un messaggio di speranza per le generazioni future, perché Emo spera che i nipoti e i pronipoti, non solo suoi ma di tutto il mondo, possano vivere in un mondo senza guerra. La sua testimonianza mi è piaciuta molto perché non si lamenta e non rimugina sui tristi e dolorosi ricordi del passato, ma proietta le sue speranze verso il futuro e si fa portavoce di un messaggio di pace.”
Mario Bisi (detto “Franco”) – commerciante. Partigiano, II Divisione  Modena. “Quella lotta fu il mezzo per guadagnarci il futuro. Combattere fu una scelta di vita: o la ribellione o rimanere schiacciati.”

Filippo (3D) ha scelto la testimonianza di Mario Bisi, perché: “Mi fa riflettere molto su come le persone, diventate poi partigiani, pensarono di dare la loro vita per mantenere alto l'onore loro e dell'Italia. Mi hanno colpito molto le parole “Combattere fu una scelta di vita”, perché penso che ci voglia molto coraggio a fare un’affermazione del genere, con la consapevolezza di dover patire il freddo e la fame e il dolore, correndo il rischio di essere ucciso. In questa testimonianza la guerra è intesa come un mezzo: il viaggio su questo mezzo per i partigiani è stato molto doloroso e faticoso, ma è proprio grazie allo sforzo di questi coraggiosi uomini e donne se oggi l'Italia è un paese senza guerra.”

Mattia (3E).  “Mi è piaciuta la testimonianza di Mario Bisi, un partigiano nato nel 1919, appartenente alla II divisione di Modena, che partecipò alla RESISTENZA. Studiando il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando l'Italia era sottomessa al regime fascista, mi sono reso conto che gli uomini come Bisi, detto Franco in battaglia, hanno lottato spinti da ideali di libertà, di progresso e di pace. Per questi uomini era meglio rischiare di morire, che essere schiacciati dalla dittatura. In quegli anni di miseria e oppressione, la solidarietà e l'unione delle persone ha consentito di resistere e vincere. Infatti, il 25 aprile del 1945 l’Italia, grazie alla resistenza partigiana e alle truppe alleate straniere, venne liberata dalla dittatura e dall’occupazione nazista ed iniziò una nuova storia di democrazia e libertà. Oggi ho finalmente capito perché il 25 aprile di ogni anno è un giorno di festa dove tutti abbiamo il dovere di ricordare chi ha perso la vita per una giusta causa: la Libertà.”

Pietro (3E). “Tra le testimonianze raccolte nel libro, quella che mi ha colpito di più è la lettera di Mario Bisi che scrisse che la lotta era un mezzo per guadagnarsi la libertà, era una scelta di vita perché, o ci si ribellava e si combatteva per essere liberi, o si rimaneva schiacciati dal regime fascista. Quindi, chi combatteva lo faceva  perché sognava un futuro migliore, rispetto a quello che stava vivendo, per sé e per tutti noi.”


“Fiamma”. “Non voglio che sia pubblicato il mio vero nome. Non sono un eroe, ma una persona semplice che ha fatto il suo dovere. Come tanti altri. Ma alla fine dei nostri racconti abbiamo lasciato tanto ai giovani. Che ne siano degni.”

Rebecca (3D): “Ho scelto la testimonianza di Fiamma principalmente per due motivi.  Il primo è la frase “non sono un eroe”; secondo me non è assolutamente vero, perché non molti avrebbero il coraggio di fare ciò che hanno fatto lui e i suoi compagni: rischiare la vita per salvare l’Italia e l’Europa, dando l’esempio e trovando il coraggio per dire “basta”, non stare più fermi a guardare, ma  alzarsi e fare qualcosa. Il secondo motivo è l’ultima frase, “che ne siano degni (i giovani)”: degni del sacrificio di molti partigiani.”

Samuele (3D) fa riferimento soprattutto alle parole di Fiamma: “Uno dei motivi per cui sono rimasto colpito da questa testimonianza, è l’ultima frase: “Che ne siano degni”.  Per me è una richiesta alla nostra generazione, di non rendere vani i loro sforzi per far diventare il nostro paese un posto migliore, di preservare ciò che ci hanno lasciato.”

Anche Sara (3D) ha scelto la testimonianza di Fiamma: “L’elemento che più mi ha colpito, e che probabilmente mi ha spinto a scegliere questa testimonianza, è il fatto che questo partigiano non abbia voluto rendere pubblico il proprio nome. Egli dichiara di non essere un eroe, anche se a mio parere chiunque si oppose al regime fascista lo è. Sembra quasi che non voglia che gli sia riconosciuto alcun merito speciale, poiché il suo fu, come dice lui, “un atto di dovere realizzato da una persona semplice, come tanti altri”. Tanti altri il cui nome è rimasto sconosciuto, tanti compagni che, come lui, hanno rischiato la vita propria e quella dei loro cari per un atto di dovere, volto a regalare un futuro migliore ai loro figli, ai loro nipoti, a noi. E alla fine lui è consapevole di averci lasciato tanto, e spera che noi ne siamo degni, degni di quel sacrificio suo e di tanti altri uomini e donne, senza volto e senza nome, che hanno fatto in modo che noi potessimo vivere liberi in questo paese. E io, personalmente, penso che farò il possibile per esserne degna.”

Simone (3E).  Che ne siano degni.” ci dice Fiamma. I partigiani erano uomini comuni “col senso della Patria”, per la quale hanno sacrificato la loro stessa vita e, come dicono le parole di Fiamma, spesso hanno voluto restare anonimi, anche se quello che hanno fatto non verrà mai dimenticato. Molti “nonni/ bisnonni” ci hanno raccontato episodi vissuti in prima persona durante la Resistenza, senza mai ostentare le loro azioni; noi studiamo a scuola il periodo storico della Seconda Guerra Mondiale nel quale inserire tali vicende e per noi restano e resteranno sempre dei grandi eroi. Tenendo bene impresso quello che ci hanno lasciato, tocca principalmente a noi giovani, oggi, continuare a mantenere vivo il valore del nostro Paese, ma soprattutto la nostra libertà, quella per la quale loro hanno lottato tanto.”

Giacomina Castagnetti – contadina. Gruppi di difesa della donna, provincia di Reggio Emilia. “Questo, ragazzi, è il fascismo che io ho sperimentato, da ragazzina, sulla mia pelle: culto della persona, desiderio di prevaricare sugli indifesi, guerra come mezzo di potere, ingiustizia sociale. (Nda: a causa della guerra, Giacomina ha perso due fratelli). Avevo 18 anni l’8 settembre 1943. (…) Anch’io capii che potevo fare qualcosa contro la guerra. (…) Ho aiutato i partigiani come staffetta. Però sappiate che non sono un’eroina, perché tante donne hanno fatto come me e più di me. (…) Voglio solo ricordare che nel giugno del  ’44 partecipai a una riunione con altre ragazze. (…). In quella riunione, per la prima volta, mi si parlò di emancipazione delle donne e di diritto al voto. Allora capii che ero nel giusto! Cari ragazzi, da questa mia esperienza e dall’esperienza di tanti come me ha preso forma la nostra Costituzione.”

Federica (3D) è rimasta molto colpita dalla testimonianza di Giacomina Castagnetti: “Lei dice di non considerarsi un’eroina, anche se secondo me lo è, perché è stata molto coraggiosa. E io ringrazio tutte queste persone come Giacomina, per quello che hanno fatto per salvare l’Italia e perché è grazie a loro se adesso abbiamo la nostra Costituzione.”

Giada (3E) ha approfondito la biografia di Giacomina Castagnetti: “Nel 1943 entra nella Resistenza, nei gruppi di difesa della donna, e ci rimane fino alla Liberazione; nel dopoguerra, dal 1949 al 1953, Giacomina diventa funzionaria dell’ UDI (Unione Donne Italiane). Grazie a donne come Giacomina, che ha dato un contributo in prima persona nella lotta contro la dittatura, sono stati riconosciuti parità di diritti alle donne, diritti che sono stati scritti nella nostra Costituzione; oggi le donne oltre a essere madri, possono avere dei ruoli di lavoro importanti e anche in politica sono libere di sostenere il loro pensiero.… Per me, lei rappresenta una figura significativa  e cercherò di onorare il suo impegno nel mio futuro.”

Alessio (3E) ha riassunto che: I brani, tratti dal libro ”Io sono l’ultimo”, ci permettono di riflettere sul valore importante della libertà. A me personalmente hanno molto colpito. La lettera di Nello Quartieri parla della consapevolezza di aver fatto qualcosa di speciale; quella di Emo Ghirelli  viene dedicata ad un bambino di 4 anni (pronipote del partigiano) con il pensiero che quello che lui ha fatto sia servito per consegnare a lui e a tutti noi un Paese in pace;  Mario Bisi ci dice che i partigiani  hanno combattuto per non rimanere "schiacciati" e per far sì che noi oggi si possa essere liberi di dire il nostro pensiero; Fiamma scrive, senza rivelarci il suo nome, perché non vuole proclamarsi “eroe”, pensa di aver fatto solo il suo dovere e che noi oggi dobbiamo difendere ed essere degni di quanto è stato raggiunto; la lettera di Giacomina Castagnetti ci ricorda le radici della Nostra Costituzione. Le loro parole sono molto importanti…occorre ricordarle per impegnarci ogni giorno nel mantenere ciò che loro ci hanno dato!”

Ecco le riflessioni di Sofia G. (3D): “Mentre leggevo queste testimonianze, ho subito pensato che tutte queste persone hanno lottato per assicurarci un futuro migliore del loro presente. Piuttosto che stare con le mani in mano, hanno scelto di darsi da fare per gli altri, hanno scelto la rivolta. Loro si definiscono persone che hanno fatto il loro dovere, ma secondo me sono stati degli eroi. Molte tra loro erano anche donne. Ai tempi venivano considerate  spesso come inferiori agli uomini, quindi posso solo immaginare cosa abbiano passato, quante cose si siano sentite dire perché partecipavano alle  lotte partigiane. E’ anche grazie a loro se oggi le donne italiane hanno maggiori diritti.”
                                                                                                                                                     
Lorenzo (3D), dopo aver letto le testimonianze dei partigiani, dice: “Molti dovrebbero prendere esempio dai partigiani, che hanno deciso di ribellarsi al dominio del fascismo, mentre altri si sono fatti schiacciare, calpestare dai più potenti, senza fare un minimo di opposizione. I partigiani hanno spesso sacrificato la loro vita, per far vivere in un posto migliore quelli che sarebbero venuti dopo, le generazioni future. Non si consideravano neanche eroi: la Resistenza l’hanno considerata un dovere. I partigiani mi fanno essere orgoglioso di essere italiano.”

Marco (3D) scrive, tra l’altro: “Tutte queste testimonianze mi hanno colpito perché mi immagino le situazioni personali che ognuno di loro ha dovuto affrontare durante la guerra: la fame, la morte dei familiari e la paura del futuro. Lo scopo di tutti quelli che hanno combattuto contro i fascisti è stato proprio quello di creare un futuro migliore per sé e per i propri figli, un futuro di pace, anche se spesso noi ci dimentichiamo di quanto la guerra sia crudele.”

Queste sono le riflessioni di Riccardo (3D): “Tutte le persone che ci hanno lasciato queste testimonianze le considero eroi, perché non erano stati chiamati a combattere i fascisti, ma lo hanno fatto di loro spontanea volontà. E anche ora, che sono molto anziani, sul punto di scrivere la loro ultima lettera, pensano agli altri, chi al nipote, chi alle generazioni future, per far capire che sì, si possono evitare le guerre, costruendo la pace. Quello che mi ha più colpito di queste persone è l’umiltà, perché dicono  di non essere eroi, anche se in realtà lo sono.”

Alessia (3E): “In questa giornata di festa nazionale, si rende omaggio ai partigiani, che contribuirono alla Liberazione del nostro Paese dal regime nazi-fascista. I partigiani non erano eroi o militari, erano persone del popolo, contadini, commercianti, insomma persone come noi, che hanno sacrificato la loro vita per donare ai loro figli e ANCHE A NOI, una vita LIBERA. Per questo, secondo me, dobbiamo essere fieri di questa festa e da essa trarne degli insegnamenti: non mollare mai, non scoraggiarsi alle prime difficoltà; nonostante non sia sempre facile, dobbiamo comunque cercare di non arrenderci davanti ad un ostacolo. Un altro insegnamento che ci dà è che con la guerra non si risolve niente; proprio per questo noi giovani di oggi, soprattutto, dobbiamo imparare a collaborare per vivere sempre in pace e libertà.”

Matteo (3E): “Tra le testimonianze tratte dal libro “Io sono l’Ultimo”(Lettere di partigiani italiani), mi ha colpito leggere che chi scriveva sarebbe morto per essersi impegnato a ottenere quei  diritti che per noi oggi sono normali e che fanno parte del nostro modo di vivere. Le generazioni che sono nate dopo di loro devono ringraziare i Partigiani, perché per merito loro siamo un popolo libero.”

Sohaib (3E): “Ricordare la giornata del 25 Aprile è il minimo che possiamo fare per ringraziare i partigiani. Senza di loro non potremmo oggi conoscere e rispettare  molti valori importanti e, quindi, vivere nella libertà. Il 25 Aprile è un momento di riflessione su quanto noi siamo fortunati rispetto a molti altri Paesi nel mondo.” 

Le donne della Resistenza.



Video di Maria Angela Banzato, Davide Fasson, Matilda Tosin.


Gli alunni della 3F, invece, hanno svolto un approfondimento sul ruolo delle donne nella Resistenza.

Le donne della Resistenza
Le donne ricoprirono un ruolo molto importante durante la seconda guerra mondiale: sostituirono gli uomini impegnati in guerra nel lavoro nelle fabbriche, contribuirono alla raccolta e alla consegna ai partigiani di munizioni, indumenti, cibo e medicinali, curarono i feriti, assistettero i famigliari dei caduti, nascosero i clandestini; inoltre molte di loro effettuarono anche un'attività di propaganda politica, atti di sabotaggio e di occupazione. Durante il conflitto molte donne furono impiegate in molteplici lavori tradizionalmente svolti dagli uomini: divennero operaie, impiegate, postine, fornaie, conducenti di tram; venivano assunte con contratti a termine, in modo da lavorare fino al rientro dei soldati. In fabbrica la disciplina era ferrea e il lavoro molto faticoso; tutti dovevano collaborare alla produzione di armamenti, viveri, auto e macchinari per l'esercito. Durante la Resistenza le donne ebbero spesso un ruolo rilevante e portarono a termine missioni delicate e rischiose. Importantissimo fu il ruolo delle cosiddette "staffette", che si occupavano della trasmissione di informazioni ma anche del reperimento e della consegna di armi alle formazioni partigiane. In Italia le donne partigiane furono circa 35.000; si esposero al rischio dell'arresto, della tortura e della vita per difendere i propri ideali. Una delle immagini più celebri è quella di una donna che sorride felice alla notizia della nascita della Repubblica Italiana dopo il referendum del 2 giugno 1946. Combattere per una causa comune e sentirsi parte integrante della società, diede alle donne maggiore consapevolezza dei propri diritti e delle proprie responsabilità. Dopo la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazifascista, il Paese si avviò a ricostituire la propria rappresentanza democratica. Alle donne fu finalmente riconosciuto il diritto di voto con un decreto del governo Bonomi del 31 gennaio 1945. Queste votarono per la prima volta alle elezioni amministrative del 10 marzo 1946, ma il primo voto a carattere nazionale fu quello in occasione del referendum per scegliere fra monarchia e repubblica, il 2 giugno del 1946. Fu un momento importante anche perché, in quell'occasione, vennero elette le prime donne come membri dell'Assemblea costituente: 21 su 556 rappresentanti.





Ines Bedeschi Mary
Nome di battaglia "Bruna" è stata una partigiana italiana, medaglia d'oro al valor militare. Ines nacque in una famiglia di agricoltori ed era dedita alle attività agricole. Dopo l'Armistizio di Cassibile partecipa attivamente nelle file della Resistenza emiliana rendendo la sua casa un punto di riferimento per i partigiani locali. Nel 1944 entra a far parte del CUMER (Comando Unificato Militare Emilia-Romagna) con il ruolo di staffetta, portando a termine numerosi e delicati incarichi, come i collegamenti tra il Comitato di Liberazione Nazionale, i partiti clandestini e i comandi partigiani regionali. Durante una missione, a poche settimane dalla Liberazione, il 23 febbraio 1945, viene catturata dai nazifascisti che, dopo averla torturata senza ottenere alcuna confessione, la fucilano il 28 marzo per poi gettare il suo corpo nel fiume Po a Colorno, in località Mezzano Rondan: in prossimità del fiume il comune di Colorno ha posto un cippo commemorativo. Con lei vengono fucilati anche i partigiani Gavino Cherchi e Alceste Benoldi.
La dedica sulla sua lapide: «Ines Bedeschi era nel fiore della vita / e tutta intera voleva viverla / invece la dette da partigiana / ad ogni cosa più cara rinunciò che non fosse la lotta / dalle sue valli e monti di Romagna / andò dove era maggiore il bisogno / la presero i nazisti feroci e spaventati / la tortura non strappò dalla sua bocca rotta / neppure un nome di compagno / infuriati i tedeschi la portarono sulla riva del Po / ma anche in un giorno di primavera che era fatica morire / Ines Bedeschi non sentì la voglia / di salvarsi col tradimento / Renata Viganò».

Onorificenze: “Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta.”





Irma Bandiera
E’ stata una partigiana italiana, Medaglia d'oro al valor militare (alla memoria). Irma nacque nel 1915 in una benestante famiglia bolognese; il padre Angelo è capomastro edile e si avvicina all'antifascismo durante la dittatura; la madre è Argentina Manferrati, e ha una sorella, Nastia. Il fidanzato di Irma, militare, è fatto prigioniero dai tedeschi a Creta dopo l'8 settembre 1943 e resta disperso dopo che la nave su cui era imbarcato per il trasferimento in Germania è bombardata e affonda al porto del Pireo. Le sue ricerche restano infruttuose. Irma Bandiera inizia ad aiutare i soldati sbandati dopo l'armistizio e ad interessarsi di politica, aderendo al Partito Comunista. A Funo, dove andava a trovare i parenti, conosce uno studente di medicina, Dino Cipollani di Argelato, il partigiano "Marco". Irma entra quindi nella Resistenza, al tempo molto attiva nella bassa bolognese, con il nome di battaglia "Mimma" nella VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna. Il 5 agosto 1944 i partigiani uccidono un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere, il che scatena il giorno successivo la rappresaglia a Funo. Tre partigiani vengono arrestati e portati alle scuole di San Giorgio di Piano. Il 7 agosto 1944 Irma Bandiera aveva trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore. La sera del 7 agosto Irma Bandiera è arrestata a casa dello zio, insieme ad altri due partigiani. Rinchiusa anche lei nelle scuole di San Giorgio di Piano, ma separata dai compagni, è quindi tradotta a Bologna, dove i fascisti speravano di ottenere da lei altre informazioni sulla Resistenza. Per sei giorni e sei notti Irma fu torturata dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale, guidati dal Capitano Renato Tartarotti, che arrivarono ad accecarla, ma Irma resistette senza parlare, preservando così i suoi compagni partigiani. Secondo Renata Viganò, "la più ignominiosa disfatta della loro sanguinante professione si chiamava Irma Bandiera". I fascisti la uccisero infine con alcuni colpi di pistola a bruciapelo al Meloncello di Bologna, nei pressi della casa dei suoi genitori, il 14 agosto. La famiglia Bandiera la cercò alle Caserme Rosse di via Corticella, centro di smistamento per i deportati, sperando che fosse fra i detenuti liberati dai gappisti nel carcere cittadino di San Giovanni in Monte, il 9 agosto. La madre continuò a cercarla, insieme alla sorella, in Questura e al comando tedesco di via Santa Chiara 6/3. Il corpo di Irma venne ritrovato il 14 agosto sul selciato vicino allo stabilimento della ICO, fabbrica di materiale sanitario, dove i suoi aguzzini l'avevano lasciata in vista per una intera giornata, a monito. Fu quindi portata all'Istituto di Medicina Legale di via Irnerio dove un custode, amico della Resistenza, scattò le foto del viso devastato dalle torture. Irma infine fu sepolta nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, accompagnata dai familiari e da qualche amica. La federazione bolognese del PCI il 4 settembre 1944 fece circolare un foglio clandestino in cui si ricordava il senso patriottico del sacrificio di Irma, incitando i bolognesi a intensificare la lotta partigiana per la liberazione dal nazi-fascismo. In suo onore, nell'estate del 1944, una formazione di partigiani operanti a Bologna prese il nome Prima Brigata Garibaldi "Irma Bandiera". A lei fu inoltre intitolata una brigata SAP (Squadra di azione patriottica) che operava nella periferia nord di Bologna ed un GDD (Gruppo di Difesa della Donna).
Onorificenze: «Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.”

Donne Legnanesi nella Resistenza.
Anche vicino al nostro paese, nella città di Legnano, ci sono testimonianze di donne che hanno aiutato attivamente la Resistenza.
Una su tutte Piera Pattani che ha portato avanti l’azione partigiana al femminile più famosa per Legnano, con un bacio. L’episodio risale a luglio 1944, all'Ospedale di Busto Arsizio, dove venne portato un comandante della 101° Brigata Garibaldi GAP di Legnano Mazzafame e Gorla Maggiore, Samuele Turconi, gravemente
ferito e piantonato dai fascisti che dopo averlo interrogato erano intenzionati a fucilarlo. Fingendosi la fidanzata del partigiano ferito, Piera Pattani, anche lei nei partigiani e appena sedicenne, riuscì con un bacio a mettere di nascosto un biglietto in bocca al ragazzo, con l’orario stabilito per farlo fuggire, venne picchiata e maltrattata dai fascisti, ma l’operazione di liberazione del partigiano ebbe successo. Portato a Legnano su una bicicletta, il ragazzo venne curato e salvato da altri compagni partigiani. Da quell’episodio, Piera cominciò ad andare negli ospedali fingendosi la fidanzata di partigiani che non aveva mai visto, per comunicare le modalità concordate per tentare la fuga e salvarli. Ha collaborato inoltre con comandanti come Arno Covini e Mauro Venegoni, con il famoso gappista Visone, Giovanni Pesce, nel rhodense; è stata al fianco di Mario Cozzi (Pino), aiutandolo attivamente ad organizzare l’insurrezione del 25 aprile. Piera era anche responsabile della stampa clandestina che lei stessa andava a prendere a Milano e poi distribuiva a tante donne che la portavano nelle fabbriche di Legnano e zona. Piera il 5 novembre 2013 ha ricevuto la benemerenza civica, l’ha accettata e l’ha condivisa idealmente con tutte le donne che hanno collaborato con lei a Legnano e nei paesi vicini.
Piera Pattani, in occasione del festeggiamento dei suoi 90 anni ha lanciato un messaggio: “Ai giovani dico prima di tutto di essere fermi e solidali nelle cose. Se hai un’idea, qualunque sia, portala avanti con fedeltà, ma con onestà la devi portare avanti, come l’abbiamo portata avanti noi.”

Altre importanti figure di collegamento tra le Brigate Garibaldi SAP e GAP e tra il CLN di Milano e il CLN di Legnano, furono:
Francesca Mainini che a 26 anni, si occupava delle azioni più rischiose, disarmi, sequestri di armi e viveri direttamente in fabbrica per i partigiani di montagna, sia per i garibaldini di estrazione comunista sia per le formazioni cattoliche, e si occupava di deragliamenti e attentati.
Irene Dormelletti, altra staffetta della GAP, una bellissima ragazza di 23 anni che sfrecciava in bicicletta tra Legnano e Gorla Maggiore portando i bigliettini con gli ordini infilati dentro il telaio della bici. Irene accompagnava anche i partigiani per alcuni tratti.
Iole Legnani, giovanissima staffetta legnanese di 16 anni, aveva il coraggio di trasportare bombe, rivoltelle ed altro in treno o in bicicletta, anche in luoghi dove i fascisti erano numerosi.
Giuseppina Marcora, sorella di Giovanni, comandante partigiano nelle formazioni cattoliche “Alfredo Di Dio” e futuro ministro dell’agricoltura. Lei era il comandante militare delle formazioni partigiane cattoliche di Inveruno e zona. Finita la guerra a lei, donna, è arrivato a casa il foglio di “congedo militare”.