Monday, April 25, 2011

25 aprile 2011 - discorso

Autorità, cittadini,
un caloroso ringraziamento a tutti quelli che sono qui oggi con noi
per celebrare il 66° anniversario della liberazione dai nazi fascisti.
In primo luogo ricordiamo la fine della seconda guerra mondiale,
che fu, per la nostra Patria, una vera catastrofe:
milioni di Italiani furono mandati a combattere, a soffrire e a morire in Francia, in Grecia, nei deserti africani, sui monti dei Balcani, nelle steppe russe.
Si cominciò poi a combattere e a morire anche in Italia,
a partire dalla metà del ’43 la guerra attraversò come un torrente di fuoco,
da sud a nord, tutto il Paese:
per quasi due anni la nostra Patria fu piagata da battaglie sanguinose
e da bombardamenti distruttivi, da rappresaglie crudeli e da innumerevoli vittime innocenti. Questa fu la catastrofe della nostra Italia,
di gran lunga la più devastante e dolorosa della sua storia.
Il fascismo va giudicato anche sullo sfondo di tale rovina:
ed il giudizio è, e sarà sempre un giudizio di condanna inappellabile.
Ma da tale rovina nacque anche la volontà di riscatto della nazione.
La riscattarono gli alpini della Julia,
la riscattarono gli eroi della divisione Acqui a Cefalonia
e le centinaia di migliaia di soldati che, dopo l'8 settembre,
scelsero di ritrovare la libertà nei lager tedeschi o di unirsi alle formazioni partigiane, piuttosto che tornare da servi in patria.
La riscattarono i partigiani delle tante e diverse formazioni combattenti,
i contadini delle nostre campagne, gli operai delle nostre fabbriche,
le donne forti delle nostre case, i tanti sacerdoti inermi e coraggiosi,
i politici del CLN, donne e uomini, giovani e meno giovani,
che patirono e morirono nella inumana desolazione
dei campi di concentramento nazisti.
Essi anteposero il Bene Comune al bene personale, al bene individuale.
Anzi fecero di più: sacrificarono il bene personale al Bene Comune.
E questa scelta estrema, anziché spaventare e allontanare la gente, l’attrasse a sé.
La Resistenza diventò in breve tempo lotta di popolo.
“Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini:
di morire da uomini per vivere da uomini”, disse Piero Calamandrei

Ricordare è un dovere, soprattutto di questi tempi,
in cui la tentazione di cancellare queste memorie è ricorrente,
spesso mascherata dalla strumentale necessità di una pacificazione universale
mediante l’azzeramento del passato e la sua cancellazione,
comprese le iniquità e le infamie del fascismo e della Repubblica di Salò,
la cui storia e i cui simboli vengono in questi tempi ripresi e rivalutati
da rinascenti movimenti neofascisti e neonazisti.
C'è chi vuole di nuovo il partito fascista.
“Odioso e provocatorio” il Disegno di Legge costituzionale,
depositato alla segreteria di Palazzo Madama da cinque senatori della destra,
volto ad abolire la XII Disposizione transitoria della Costituzione Repubblicana che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista”.

Il 25 Aprile è festa di libertà, è festa di liberazione dalla oppressione, dalle oppressioni, dalle miserie, dalla violenza, dalla tirannia della forza bruta e dalla ignoranza.
Il 25 Aprile è la festa della luce sul buio, della civiltà sulla barbarie.

Ai caduti vanno sempre resi gli onori, da qualunque parte essi si siano schierati.
I morti vanno onorati tutti con umana e rasserenante pietà.
Ma la pietà non ci impedisce, la verità anzi ce lo impone,
di ricordare la profonda, radicale diversità delle scelte
per cui essi combatterono e morirono e
di ripetere che fascismo e nazismo furono allora, e rimangono oggi,
ideologie negatrici della dignità dell’uomo,
sistemi e regimi distruttivi delle radici cristiane della civiltà europea,
esperienze atroci per i popoli europei, per quello tedesco e italiano in particolare.
Da una parte c’era la cultura della forza, della violenza, della subordinazione dell’individuo allo stato, il nazionalismo, il razzismo, l’antisemitismo, dall’altra la cultura della pace,
della democrazia, della tolleranza, della solidarietà
e la lotta per una società libera e giusta.

Abbiamo quest’anno celebrato e festeggiato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
L’unificazione italiana ha rappresentato un’impresa storica straordinaria,
per le condizioni in cui si svolse, per la portata che assunse, per il successo che la coronò.
A partire dal 17 marzo 1861 l’Italia ha potuto affermare a voce alta, di fronte al mondo,
la propria esistenza, il diritto che le apparteneva di essere indipendente, libera e unita, entrando così nella modernità.
La Resistenza, definita, non a caso, Secondo Risorgimento,
si è ricollegata al Risorgimento, nelle dichiarazioni programmatiche,
negli stessi nomi delle formazioni partigiane,
nello spirito che animava i militari italiani deportati in Germania.
E il richiamo a quell’eredità fu componente importante della piattaforma ideale della Resistenza.

Oggi la storiografia ci conforta nell'affermare che, qualunque fossero le ideologie che animarono i partigiani, la resistenza fu una guerra patriottica di liberazione nazionale, appoggiata dalla gran massa della popolazione, stanca della guerra e
desiderosa di un destino diverso e più libero.
Dunque, quando sentiamo cantare “il fiore dei partigiani”,
quando vediamo un tricolore alzarsi, o sentiamo il nostro inno nazionale, andiamo col pensiero a tutti gli italiani caduti, imprigionati nelle carceri, impiccati o gettati nei campi, perché lì è nata la nostra libertà e la nostra dignità.

Per tutto questo possiamo dire, dobbiamo dire,
che il 25 aprile è l’evento fondante del nostro vivere civile,
l’inizio di un percorso che avrebbe portato alla Costituzione Repubblicana;
all’avvio di libere consultazioni elettorali, al voto alle donne.
Con la Resistenza abbiamo conquistato per la seconda volta
la nostra indipendenza e la nostra unità nazionale.

Grazie al sacrificio di quanti morirono per la libertà, tutti noi
da più di sessant’anni viviamo e operiamo in pace e in democrazia.
LA LIBERTA’ E’ COME L’ARIA:
CI SI ACCORGE DI QUANTO VALE QUANDO COMINCIA A MANCARE!!


Viviamo oggi in Italia, in Europa e nel Mondo un momento di grande preoccupazione: la situazione dell’Africa, Libia, Egitto,
il mondo del lavoro con i giovani alla ricerca di un futuro più certo (29 % i disoccupati) e con tante fabbriche che stanno chiudendo lasciando i lavoratori a casa,
la sicurezza sul posto del lavoro, ancora un problema irrisolto,
la scuola in tutti i suoi gradi ridotta ad una sorta di fabbrica del precariato,
che penalizza insegnanti e studenti,
la giustizia che deve essere fondata sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,
il rispetto delle istituzioni, della magistratura,
l’immigrazione di gente che fugge la fame e la guerra,
e qui tutta l’Europa deve intervenire.

La società contemporanea, nella quale registriamo la caduta sempre più preoccupante
del costume sociale e dell’etica pubblica, celebra ogni giorno, il rito della provvisorietà, dell’effimero, dell’egoismo, del successo, della scomparsa della solidarietà.
“Non è questo il Paese che sognavo” è il significativo titolo del libro testimonianza del Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,
sulle sue vicende di combattente per la libertà.

Oggi più che mai a ciascuno di noi compete tramutare questi valori in destino,
sta a noi assumere un compito, come fece la maggioranza degli italiani allora,
di aggiornarli ma non tradirli; di continuare a lavorare per la ragione e il rispetto;
di adoperarsi per contrastare il sopruso con ogni mezzo;
di premiare il lavoro e non l'opportunismo e la rendita;
di far prevalere l'utilità comune all'utilità particolare;
di fare in modo che nessuno muoia di fame e non ci siano troppo ricchi o troppo poveri;
di ricercare come sacra e indelebile la fratellanza dei popoli.
A ciascuno di noi fare in modo che tutto ciò rimanga vitale,
perchè questo è il dono più prezioso.

Viva la libertà, Viva gli Italiani, Viva l’Italia.Viva la Resistenza!