PENSIERI GIOVANI.
Nonostante le lezioni online, grazie alle
insegnanti e alle famiglie, abbiamo ricevuto
da alunne e alunni i loro pensieri sul 25 APRILE.
Asia Brusciani (V elementare): 75
anni dalla Liberazione dell’Italia! Gli Eroi allora furono i nostri Partigiani,
quelli che sacrificarono le loro vite per la nostra Libertà: è a loro che oggi
va il nostro pensiero.
Michela Ruggeri (I media). 25 APRILE. Questo è un giorno fondamentale per la
storia d’Italia, perché il 25 aprile 1945 il nostro paese fu liberato dalle
truppe nazifasciste comandate da Mussolini in Italia e da Hitler in Germania.
Ogni anno il 25 aprile mi chiedo come sarebbe stata la nostra amata Italia
senza persone come i partigiani, Sandro Pertini, Rodolfo Morandi, Luigi Longo e
tanti altri, forse noi non saremmo neanche liberi di andare a scuola, perciò io
dico sempre grazie per aver l’opportunità di andare in giro, andare a scuola e
di avere pasti caldi ogni giorno. Questo periodo che stiamo vivendo è come una
guerra contro un invasore che non ci permette di uscire, ma ci fa restare con
le mani in mano e non poter fare altro che restare a casa per salvaguardare la
nostra salute e quella degli altri. Ma quando finirà tutto, dedicheremo un
giorno alla liberazione dall’invasore e ogni anno festeggeremo la nostra
libertà, ma anche i medici e gli infermieri in prima linea che hanno fatto di
tutto per salvarci e hanno donato la loro vita: ma non sono morti invano, ci
hanno salvato e perciò sono morti con onore. Viva l’Italia che riuscirà a
superare anche questa guerra a testa alta.
Mattia Garavaglia (I media). Per
me il 25 Aprile vuol dire LIBERTA’ e mi viene in mente la RESISTENZA operata
dai Partigiani contro i fascisti e i tedeschi che occupavano il territorio
italiano. Per me Libertà è essere Liberi di poter esprimere le proprie opinioni
senza essere giudicati e obbligati a seguire idee che non ci piacciono. BUON 25
APRILE
Simone Brusciani (III media): Come
ha detto Primo Levi: “ Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”,
oggi in questo 75° Anniversario della Liberazione della nostra Nazione dai nazifascisti,
nella situazione sanitaria in cui versa la nostra Italia, conoscere il passato
e non dimenticare è più che mai necessario.
Proprio quando il nostro
presidente Roberto chiedeva uno scritto per un 25 aprile insolito, è giunta la
notizia di Luis Sepulveda. Parlandone con mia mamma Nareda, il primo pensiero,
è vero, è andato alla gabbanella Fortunata, ma il secondo è stato per “Le rose
di Atacama”.
"Eccole.
Sono le rose del deserto, le rose di Atacama. Le piante sono sempre lì,
sotto la terra salata. Le hanno viste gli antichi Indios Atacama, e poi gli Inca, i
conquistatori spagnoli, i soldati della guerra del Pacifico, gli operai del
salnitro. Sono sempre lì e fioriscono una volta l’anno. A mezzogiorno il sole le avrà̀ già̀ calcinate.”
Più
che un libro è una raccolta di storie, di legami.
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Legami con lotte, tradizioni che stanno morendo, sofferenze
che parlano con voce assordante a Sepulveda, in visita al campo di
concentramento di Bergen Belsen. Quelle voci rimaste intrappolate nel filo
spinato, nel legno delle baracche, nella terra più volte calpestata. Sono voci
che si intrecciano con la sofferenza, la rabbia, la disperazione. “In un
angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli
infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?,
aveva inciso con l'aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più
drammatica delle proteste: «Io
sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia.” Sepulveda
fa rifiorire le voci di queste persone che, come i semi che resistono nel
deserto, riescono a farsi sentire. Sono
le voci di persone torturate, imprigionate, private della loro identità, della
loro umanità, della dignità. Hanno toccato con la propria carne l’essenza del
Male, hanno sentito in ogni fibra del loro corpo lo svuotamento,
l’annientamento che porta a non provare più nulla. In questi giorni stiamo
provando anche noi un assaggio di prigionia, che sembra pesarci tanto, ma è in
fondo una prigionia dolce perché non siamo strappati alle nostre radici, agli
affetti che ci scaldano il cuore, alle nostre convinzioni che sono come le rose
di Atacama, pronte a fiorire nel deserto ancora e ancora perché solo così il
deserto diventa contenitore di vita. Il deserto è sempre in agguato: è la via
più facile, il compromesso ad ogni costo, fino a confondere il bene e il male,
il giusto e lo sbagliato. Ma non possono e non devono essere confusi o
accomunati. La sfida, oggi, sta nel cercare di preservare il più possibile
queste rose perché daranno semi con radici forti. Noi siamo le rose nate dai
quei semi e dobbiamo fare in modo che altri semi e altre rose tornino a far
fiorire il deserto.
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